DIARIO DI UNA NOTTE DA RONDINA

L’appuntamento è alle 21.30 in via Silvestrini 10, sede della Ronda della Carità di Verona. Piove. Ci apre il portone Maria, capo turno del martedì sera e nostra guida d’eccezione per la serata. Alcuni volontari sono già arrivati, partono i preparativi che precedono abitualmente l’uscita.

ORE 21.30: LA PREPARAZIONE I rondini, anzi le rondine visto che al momento siamo un gruppo esclusivamente femminile, iniziano a radunare tutto ciò che ci servirà durante la nottata. Coperte, indumenti, bicchieri e posate di plastica, tutto viene riposto ordinatamente dentro sacchi e casse. Arriva anche il cibo: pane, alcuni vassoi di dolci, the caldo, un grosso contenitore pieno di minestrone che hanno preparato i ragazzi di Gargagnago. Ma da dove arrivano tutte queste cose? Maria ci spiega che ogni turno della Ronda ha i suoi “fornitori”: panifici, pasticcerie, ristoranti, gruppi parrocchiali che a turno offrono qualcosa e che assicurano all’associazione un continuo rifornimento alimentare. Il piatto forte del martedì (la pastasciutta), ad esempio, lo cucinano gli alpini di Santa Lucia.

ORE 22.00: RITIRIAMO LA PASTA DAGLI ALPINI In sede i preparativi continuano; gli alpini attendono Maria a Forte Gisella per lo “scambio” e noi andiamo con lei. Due contenitori termici vuoti per due pieni di 10 kg di pasta: è questo lo scambio merci che avviene ogni settimana da ormai tre anni. Il cuoco Roberto, artigliere alpino classe ’42, ha preparato penne al pomodoro e olive. “Una volta le facevo con il tonno – ci racconta allegro- ma questo sugo sembra riscuotere maggior successo. Sa, cerchiamo di stare attenti alle esigenze di tutti, il ragù ad esempio non lo possiamo fare perché ci sono tanti musulmani. Ma è l’ultima volta per quest’anno che cucino la pasta, dalla settimana prossima passiamo al minestrone di verdure: con l’arrivo del grande freddo va molto meglio”. Ringraziamo e torniamo alla base, aspettano solo noi per partire. Approfittiamo del breve tratto di strada per chiedere un po’ di notizie sull’associazione. Chi è Bernardo? Quanti sono i volontari? Uscite tutte le sere? Maria inizia a tracciarci un profilo della Ronda e dei rondini. Una storia iniziata nel 1995 quando un gruppetto di volontari si unisce per aiutare un veronese un po’ speciale, il clochard Bernardo, e che continua notte dopo notte da dieci anni grazie all’impegno di 150 volontari. Un impegno che non conosce sosta: sette giorni su sette, 365 sere all’anno, Natale, Pasqua e festività varie comprese. Sotto la pioggia o con la calura, i volontari della Ronda ci sono, sempre.

ORE 22.25: SI PARTE Il furgone è pronto, carico di vestiti e vivande; arrivano altri volontari, ora siamo in 11 e ci dividiamo in due gruppi. Saliamo sul minivan, indossiamo il gilet giallo fluorescente d’obbligo e partiamo. Nella nostra squadra siamo in sei: Maria e Uli, due veterane della Ronda; Marco, postino che aiuta da tre settimane; Silvia (che tutti chiamano però Bibi), che ha soli 18 anni… e noi di VeronaSociale.

ORE 22.30, 1° TAPPA: IL DORMITORIO DI VIALE DEL LAVORO Ci basta urlare “Ronda!” dalla tromba delle scale per ritrovarci in pochi secondi circondati da quasi tutti i 30 ospiti di questo dormitorio gestito dalla Comunità dei Giovani. Un piatto di pasta, un panino, un dolce, acqua e mezza bottiglietta di the caldo: questo è il menù della serata che offriremo a tutte le persone che incontreremo nel nostro giro. Capiamo subito che una delle cose più difficili di questo “lavoro” è riuscire a gestire le scorte. Tanti chiedono un panino in più, un’altra briosche, un po’ più di the: si cerca di dare porzioni eque ma ad un certo punto si è inevitabilmente costretti a dire di no. La nottata è lunga, bisogna fare in modo che ci sia cibo per tutti. “Qui, confronto agli altri, stanno anche bene”, ci dicono i volontari. E, seppur nel paradosso, l’affermazione è tristemente vera: un letto al dormitorio è un lusso se paragonato al cartone per la strada, chi vive qui ha fame ma almeno non soffre il freddo. Mentre si mangia nella sala comune davanti alla tv, c’è anche chi ha voglia di scambiare due chiacchiere con noi. “Voi ce l’avete il permesso di soggiorno?” ci chiede un ospite ridendo “Perché non ti fanno stare qui se non ce l’hai”. Capisce che siamo nuove e ci fa un po’ di domande, per poi rispondere volentieri alle nostre. Ciao, da dove vieni? “Casablanca, Marocco” Quanti anni hai? “41” Ci racconti come sei arrivato qui? “Ero sposato con una veronese, abbiamo anche avuto una bambina. Poi la storia è finita, con il divorzio ho perso la casa. Qui ci sono altri come me, anche italiani, che prima conducevano una vita normale e improvvisamente hanno perso tutto.” Dobbiamo andare, gli auguriamo in bocca al lupo. Ci stringe la mano e ci saluta dicendo “Meno male che ci sono quelli della Ronda, li ammiro davvero”.

ORE 22.55, 2° TAPPA: PORTA VESCOVO Scendiamo dal minivan, arrivano una ventina di persone. Il buonumore non manca, anche sotto la pioggia si riesce a scherzare; ma non sono tutti così e Maria e gli altri hanno il loro bel da fare per gestire la situazione. Qualcuno esagera, vuole una doppia razione e inizia a prendere a calci il sacchetto del pane, colpendo nella foga anche noi. “Tutti dentro il pulmino” incita Maria: obbediamo e velocemente ripartiamo. Ma cosa è successo? Capita spesso di subire la reazione inopportuna di chi si sta semplicemente cercando di aiutare? Non è la norma, ma a volte può capitare e “sono delle brutte batoste, vai a casa davvero abbattuto”, confessa Uli. Quando accadono episodi di questo tipo vige una sola regola: si sale tutti subito sul minivan e, per qualche notte, si salta quella tappa. Una piccola “punizione” inflitta a malincuore ma che permette ai rondini di stabilire dei limiti e tutelare il loro operato.

ORE 23.10, 3° TAPPA: BORGO VENEZIA Ci sono solo quattro persone, tutte moldave, che ci chiedono “per piacere” qualche vestito e rispondono “grazie” ad ogni mestolo di minestra che versiamo nelle ciotole. Uno di loro rimane steso nel porticato, sta male e non si alza. “Cerchiamo sempre di fare in modo che vengano loro da noi, altrimenti la situazione diventa ingestibile” ci spiega Maria “ma quando stanno male portiamo loro il cibo direttamente nel loro piccolo rifugio”. Mentre stiamo per ripartire compare nuovamente l’uomo che aveva creato problemi a Porta Vescovo e ci urla “Ladri!”. Un’altra di quelle “batoste” che i rondini sono abituati ad incassare.

ORE 23.30, 4° TAPPA: I GIARDINI DI VERONETTA Non c’è nessuno, proseguiamo il giro. “Ragazze, vi porto a conoscere Sandro”, ci dice Maria.

ORE 23.35, 5° TAPPA: BORGO TRENTO Sandro è un personaggio quasi mitico tra i rondini, è uno dei barboni storici della città e i volontari gli riservano un affetto particolare. Dorme ben nascosto sotto la pensilina del distributore, a qualche passo dalle pompe di benzina.
Ci vede arrivare ma non si muove, andiamo noi da lui. “Sandro, stasera c’è pastasciutta, minestrone, pane, dolce, uva e the caldo, cosa vuoi?” gli chiediamo, “Maria, fa la brava, dàme el menù completo”. Gli portiamo la cena, ci sediamo al suo fianco e gli chiediamo se possiamo fargli qualche domanda.
Buonasera Sandro, ci dicono sia un veronese doc… “Si, sono nato ai Filippini”
… classe? “1936”
Cosa faceva da giovane? Lavorava? “Ho fatto centomila lavori. Ingegnere, geometra, sempre nell’edilizia”
E la famiglia? Si è mai sposato? “No, niente mojèr. Non so se sia stato un bene o un male, ma ormai è andata così”
Sappiamo che i volontari della Ronda le sono molto affezionati, ma se il comune le trova una casa non avrebbe voglia di trasferirsi? “No, no, no, no, non ‘ghe penso proprio. Sto bene qui. A volte mi sposto, cambio posto, ma una casa non la voglio”
Lasciamo mangiare Sandro prima che il minestrone si freddi.

ORE 23.45, 6° TAPPA: PIAZZA DANTE In Piazza Dante ci aspetta già l’altro pulmino della Ronda, e assieme a loro una ventina di persone. I rondini ci fanno cenno di guardare sotto il porticato: nascosti dall’oscurità, altrettanti barboni stanno dormendo. In Piazza Erbe c’è il solito vociare dai bar più frequentati della città. Ma qui, a pochi metri di distanza, sembra di essere in un’altra Verona: nordafricani, rumeni, cingalesi, italiani sbucano improvvisamente – e quasi non capiamo da dove – prendono tutto ciò che riescono e se ne ritornano chissà dove a passare la notte. “Buonanotte” ci dice un ragazzo di Mantova prima di scomparire con il suo pasto. Ha solo 27 anni, un bel viso, il linguaggio di chi ha fatto tutte le scuole dell’obbligo: potrebbe essere uno dei ragazzi che in questo momento stanno bevendo uno spritz nei locali del centro. Invece chiede un paio di calze, prende la sua mezza bottiglietta di the caldo e se ne va.

ORE 00.15, 7° TAPPA: PORTA NUOVA Per un ragazzo che salutiamo ne troviamo altri due altrettanto giovani che ci aspettano. Sembra di rivedere lo stesso film: 29 anni, evidenti problemi di tossicodipendenza, veterani delle notti all’aperto. Sarà che sono nostri coetanei, sarà che avrebbero potenzialmente le stesse facce di tanta gente con cui abbiamo condiviso i banchi di scuola, ma non riusciamo a trattenerci dal chiedere: “Ma cosa ci fai qui? Dov’è la tua famiglia?”. Risponde solo uno dei due, ci racconta di aver avuto problemi a casa e di essersi ritrovato così. “Sono di Verona, purtroppo” aggiunge. Purtroppo? “Sì, perché non è certo bello fare questa fine nella propria città”.

ORE 00.30, 8° TAPPA: LA STAZIONE Approfittiamo del breve tragitto per fare un’ultima domanda ai volontari: ma se per caso la Ronda una notte non esce, cosa fanno queste persone? Ci danno la risposta che temiamo: “Saltano il pasto”, dice Maria. E ci racconta delle altre associazioni che si preoccupano di dare da mangiare ai barboni; colazione, pranzo, una piccola merenda e poi la cena portata dai rondini, perché in un modo o nell’altro tutti abbiano qualcosa da mettere sotto i denti. Arriviamo in stazione, ci sono un’altra ventina di persone a cui diamo tutto il cibo rimasto. Chiudendo il portellone del minivan facciamo in tempo a sentire uno di loro che ci dice ridendo: “Buonanotte, eh, se volete potete fermarvi a dormire qui… vi ospitiamo volentieri noi!”. Ma per noi la serata all’aperto finisce qui. La ronda è completata, torniamo a casa. Felici di averne una.

“Non si poteva raccontare di questo tipo di volontariato senza viverlo in prima persona. Un’esperienza forte ma importante”.
Michela Toffali della redazione di Veronasociale